La riforma del Lavoro – la cui discussione entrerà nel vivo in commissione al Senato nei prossimi giorni- rappresenta il primo elemento di svolta per il ns. Paese, per dare quella scossa alla fiducia dei ns. imprenditori e per dare un segnale incentivando così le imprese estere a credere nell’Italia investendo a medio-lungo termine.
Sul tema del lavoro quello che appare anacronistico è il dualismo imprese/sindacati. Si è da anni al di fuori di questo schema essendo oramai in un’economia globale dove il vero avversario è la concorrenza.
Le imprese, in questo contesto, non hanno alcun interesse ad avere lavoratori senza professionalità che è uno degli elementi di opposizione del sindacato alla semplificazione delle procedure di licenziamento individuale.
Al contrario l’interesse delle imprese tutte -piccole e grandi- è sì quello di avere lavoratori ad elevata specializzazione ma anche quello di migliorare la produttività del lavoro che si traduce in un aumento sensibile della competitività delle ns. imprese.
Sembra ovvio ma l’interesse degli investitori anche esteri, specie di quelli privi di intenti speculativi, è di essere in grado di stimare – allorquando decidono dove allocare un loro investimento – oltre ai costi iniziali anche quelli di disinvestimento e gli altri eventuali obblighi conseguenti; questo è proprio ciò che, dato l’impianto normativo attuale, non è facile stimare in Italia.
Nonostante tale ovvietà nessuno è finora riuscito ad intervenire. Eppure tutte le istituzioni (economiche e non) internazionali (BCE, OCSE ed FMI in testa) ci dicono e da tempo che questa è la prima riforma da adottare in Italia.
Il lettore converrà che chi da un osservatorio così privilegiato e globale chiede questo non lo fa per una forma di avversione verso il ns. Paese (non ve ne sarebbe peraltro motivo) ma perché evidentemente è la prima cosa che non ci rende competitivi.
Noi sul tema dell’art. 18 abbiamo “impiccato” nell’ordine un Presidente di Confindustria, un Presidente del Consiglio e “bruciato” più di un Ministro.
Ci sembra di vivere in un mondo in cui non si ha conoscenza di ciò che accade fuori e di quale sia la direzione di marcia !
Il tema vero non è solo – com’è stato attentamente osservato – quello dell’art. 18 ma di una riforma più ampia e strutturale dello Statuto dei Lavoratori.
Eppure i passaggi fondamentali che potrebbero consentirci di svoltare sono abbastanza semplici e condivisibili da tutti, a meno che non ci si arrocchi su posizioni politiche “sessantottine” sui temi del lavoro: possibilità di mutamento da parte del datore di mansioni e orario di lavoro se questo risponde ad esigenze produttive dell’impresa, sostituzione della reintegra del posto di lavoro con un indennizzo economico adeguato anche in base all’anzianità di servizio ed anagrafica del lavoratore, superamento del divieto di utilizzo di tecnologie di controllo del lavoro a distanza, indispensabile se si pensa – al fine di aiutare la competitività – di favorire sempre più il ricorso al Telelavoro.
Occorre, infine, rivisitare completamente la materia della formazione introducendo principi non ipocriti ma che favoriscano effettivamente la formazione – pubblica e privata – dei giovani da avviare al mondo del lavoro e l’aggiornamento degli occupati nel loro naturale percorso di crescita professionale.
Una provocazione sul punto: perché non inserire il diritto dei centri di formazione a ricevere il giusto corrispettivo per la loro attività “ a risultato ottenuto” ?