di Domenico Berritto*
Lo scorso gennaio si è svolto a Milano il convegno “Il D. Lgs. 626/94 alla sbarra di fronte alla Corte di Giustizia Europea: la sentenza di condanna del 15 novembre 2001” organizzato dall’A.I.A.S. (Associazione Italiana Addetti alla Sicurezza).
La necessità di una simile iniziativa si è presentata in seguito alla pubblicazione, tra l’altro passata quasi inosservata, della sentenza del 15 novembre 2001 con la quale la Corte di Giustizia Europea condannava la Repubblica Italiana per non aver recepito correttamente la Direttiva 89/391/Cee sulla sicurezza nel posto di lavoro con il D. Lgs. 626/94.
Se leggiamo attentamente la Direttiva e la sentenza con relative conclusioni, possiamo notare come anche questa volta il legislatore italiano sia caduto in errori banali, dettati forse dalla fretta (si era giunti agli sgoccioli del tempo concesso), da precisi calcoli o pressioni esterne, che non sono stati corretti per mancanza di volontà e sensibilità politica.
Tali considerazioni sorgono spontanee quando si va ad analizzare la storia del Decreto ed alcuni suoi punti fondamentali. Dopo l’emanazione della Direttiva, lo Stato Italiano doveva, entro tre anni, trasformare la stessa in legge, evento che non si è verificato. A questo punto la Repubblica è stata “bacchettata” una prima volta e si è fissato un nuovo termine (entro settembre 1994), a malapena rispettato con l’emanazione del D. Lgs. del 19 settembre 1994 numero 626.
Purtroppo furono subito riscontrate varie imperfezioni che rendevano il Decreto non del tutto conforme allo spirito della 89/391/Cee. I punti contestati, tra cui l’obbligo di individuare e valutare tutti i rischi presenti sul luogo di lavoro, sono il frutto di errori che potevano essere facilmente corretti, senza dover riscrivere la legge e rendendo la stessa più chiara ed incisiva.
Infatti lo Stato Italiano si è reso colpevole di manipolazione e pressappochismo nella definizione di alcuni precisi doveri del datore di lavoro, violando in tal modo l’articolo 6 (numero 3, lettera a) e contravvenendo ad uno dei principi base della Comunità, che obbliga gli Stati a legiferare in modo “chiaro, semplice e trasparente”, a beneficio anche di chi gestisce un’impresa media o piccola o non possiede una cultura tale da poter comprendere le sottigliezze del linguaggio giuridico.
Il contenzioso si trascina dall’ottobre 1998 ed ora è arrivata la condanna che rende in parte “illegale” il decreto 626/94. Sicuramente la sentenza avrà risvolti a livello giudiziario e conseguente incertezza per il tempo necessario all’adeguamento del decreto, periodo non ancora definito e che si presume non breve.
Sicuramente creerà non pochi problemi porre rimedio all’altra contestazione mossa dalla sentenza riguardante la definizione delle “… capacità ed attitudini di cui devono essere in possesso le persone responsabili delle attività di protezione e prevenzione…” a causa delle grossolane indicazioni, contenute nella 626/94, a questo riguardo.
Anche in questo caso si è sorvolato su alcuni obblighi ai quali era stato chiaramente chiamato dalla Direttiva, la quale precisa che “… gli Stati Membri definiscono le capacità e le attitudini necessarie a cui al paragrafo 5…” (articolo 7, numero 8 Dir. 89/391), e affermando chiaramente che i responsabili per la sicurezza (lavoratori interni, persone o servizi esterni) di una azienda “… devono possedere le capacità necessarie e disporre dei mezzi richiesti…” e “… devono possedere le attitudini necessarie…”.
La perentorietà degli articoli non doveva lasciare dubbi al legislatore, che invece ha preferito rimanere vago nelle sue disposizioni, ricopiando fedelmente la Direttiva ma senza elencare quali devono essere competenze e le attitudini dei responsabili per la sicurezza, ma disponendone solo i compiti. Come al solito a pagarne le conseguenze maggiori saranno le piccole e medie imprese che, già tra mille difficoltà, devono districarsi (alla meno peggio) tra le diverse vedute e le interpretazioni molto soggettive dei diversi organismi di controllo ed anche tra diversi rappresentanti degli stessi organismi. Alcuni hanno concluso affermando che dopotutto questa sentenza non è che l’ultima di una lunga serie, iniziata negli anni ‘70 e che verrà presto dimenticata o, al più, momentaneamente accantonata: ma quando si comincerà ad attribuire una responsabilità precisa del tasso di infortuni, ancora molto alto nel nostro paese, alla negligenza del legislatore o dei vari interpreti del D. Lgs. 626/94?
*consulente Claai per la sicurezza ambientale e sul lavoro
Per maggiori chiarimenti in merito agli obblighi previsti dal D.Lgs. 626/94 Domenico Berritto riceve c/o la sede Claai di Napoli, il martedì ed il venerdì dalle 16.00 alle 19.00 previo appuntamento.
dal Notiziario CLAAI -Aprile 2003