di ALESSANDRO LIMATOLA
L’Amministrazione centrale ed il nuovo Sindaco di Napoli si troveranno ad affrontare problemi analoghi anche se a diversa scala.
La crescita economica del Paese e dell’area napoletana è da tempo, da troppo tempo, sostanzialmente al palo.
Le attività produttive non riescono a trovare nuova linfa per compiere quel balzo in avanti che le porti ad agganciare almeno le performance degli altri Paesi europei (si pensi, ad esempio, che la sola Inghilterra negli ultimi cinque anni ha registrato un tasso di crescita economica di oltre il 12% rispetto al 3-3,5% dell’Italia).
Per fare ciò occorrono interventi pubblici sia nel breve che nel medio lungo periodo; occorre, più nello specifico, che insieme a misure che agevolino la vita quotidiana di imprese e cittadini si progetti l’Italia e la Napoli del futuro.
Si pensi, a questo proposito, che nelle aree più sviluppate del Paese (Veneto in testa settori calzaturiero ed abbigliamento), i distretti industriali che – nonostante siano ancora largamente competitivi anche sui mercati esteri – sin d’ora, studiano i nuovi prodotti da realizzare per anticipare o meglio cambiare le proprie produzioni entro due anni, consapevoli, come sono, che le “Tigri Asiatiche” di qui a due/tre anni saranno in grado di portare in Italia ed in Europa gli stessi beni – che oggi vanno per la maggiore e non soffrono concorrenza – a prezzi (al pubblico) più bassi dei soli costi di produzione italiani.
Tale approccio di organizzazione aziendale è un modello che va esteso a tutto il territorio nazionale; in termini pratici, si deve favorire la ristrutturazione delle aziende, anche di quelle piccole e medie, che consente loro di adottare forme di organizzazione interne idonee a guardare sì al fatturato ed al conto economico ma anche alla collocazione nel mercato di riferimento in posizione di assoluta competitività.
Nell’immediato è indispensabile invertire la tendenza dell’attuale ciclo economico favorendo, in ogni modo, la ripresa dei consumi interni e le esportazioni.
Solo così si potrà creare nuova ricchezza utile ad incrementare il tasso di occupazione, specie al Sud ed in particolare dei giovani.
Nuova occupazione significa nuova ricchezza idonea ad alimentare le casse erariali che, al di là di un’ulteriore razionalizzazione della spesa, non possono ragionevolmente subire altri significativi tagli.
Ovviamente gli strumenti da utilizzare per favorire la crescita dei consumi interni sono del tutto diversi da quelli richiesti per aumentare la penetrazioni dei mercati esteri e far riconquistare alle imprese italiane e napoletane le quote di commercio internazionale che detenevano prima dell’introduzione dell’euro.
Parimenti scontato è che le misure che dovranno essere realizzate dal Governo non sono gli interventi che il futuro Sindaco della terza città d’Italia dovrà “inventarsi”.
Pur nella diversità di ruoli e funzioni entrambi dovranno, però, mettere, al centro e nell’immediato, la semplificazione amministrativa, l’eliminazione dei soffocanti vincoli burocratici e delle pesanti regolamentazioni che, lungi dal creare parità di condizioni, costituiscono sono un freno alla crescita delle imprese ed un ostacolo per chi intende avviare un’attività economica. Non solo riducono fortemente il nostro appeal per quelle realtà economiche, anche multinazionali, che devono decidere investimenti in Europa ed in Italia.
E’ impensabile che prima di aprire una piccolissima attività artigiana, ad esempio di servizi, occorrano non meno di 50 passaggi formali; a Napoli anche di più !
Il mercato interno (e napoletano, in particolare) ha le potenzialità per riprendersi; occorre però che si trasferisca realmente agli italiani ed ai napoletani fiducia nel futuro. L’avverbio realmente non è messo a caso perchè siamo convinti della maturità dei cittadini i quali hanno tutti gli strumenti per distinguere tra misure congiunturali e/o di facciata ed interventi strutturali.
Occorre in una parola sicurezza, intesa non solo come tenuta dell’ordine pubblico, ma anche come certezza dell’attività e dei tempi della P.A..
Il mercato estero ha, invece, bisogno che si ridia smalto al made in italy non solo attraverso politiche di promozione e/o di marketing nazionale ma puntando, prima di tutto, sull’innovazione di processo, di prodotto e di contesto.
Di ricette a questo proposito ne abbiamo sentite tante. Dal nostro osservatorio possiamo, però, dire che non può esserci innovazione senza ricerca e non può esserci ricerca senza formazione.
Solo intervenendo seriamente su questa filiera, i cui anelli devono indispensabilmente essere tra loro saldamente legati, si potranno ottenere, nel medio periodo, risultati importanti sui mercati esteri.