di ALESSANDRO LIMATOLA
Le vicende degli ultimi mesi ed in particolare la crisi finanziaria internazionale – anticipata dal crollo delle borse- ci induce a talune riflessioni sia sullo stato delle PMI – e segnatamente di quelle meridionali – che sulle consequenziali misure da adottare.
La situazione attuale appare determinata dall’eccessiva “finanziarizzazione”, anche dell’economia reale, degli ultimi anni che ha causato, in molti operatori ed osservatori, la perdita dell’obiettivo prioritario rappresentato dall’andamento delle produzioni e delle attività manifatturiere che costituiscono e costituiranno la struttura portante ed il termometro dell’economia internazionale e dell’occupazione.
La “finanziarizzazione” dell’economia nel ns. Paese – a causa di una storica bassissima (forse eccessiva) propensione al rischio del sistema bancario – ha prodotto fortunatamente effetti minori che in altri paesi che potremmo definire più di “importazione” che interni.
La situazione attuale è certamente complessa e preoccupante ma la sua enfatizzazione non determina nulla se non l’accelerazione della crisi di fiducia dei consumatori ed il consequenziale rallentamento dell’economia reale.
Per le PMI l’analisi deve essere necessariamente un po’ più articolata dal momento che, se è vero, che accanto alle note debolezze strutturali che determinano un gap competitivo di almeno il 20% rispetto alle aziende del centro nord, v’è la situazione contingente che aumenta le difficoltà e rende ancor più alti gli ostacoli è altrettanto vero che i piccoli e medi imprenditori stanno rispondendo alle difficoltà con grande responsabilità e coraggio.
La sofferenza c’è ed è palpabile, ma altrettanto evidente è lo sforzo, di quei piccoli imprenditori che continuano a lavorare quotidianamente per migliorare le proprie produzioni e/o allargare gli orizzonti dei mercati.
Chi sta coraggiosamente perseguendo questa strada ha – e manterrà – grandi prospettive di crescita, specie per il periodo post crisi in cui si conteranno i “morti”.
Per questo motivo riteniamo ingiuste ed ingiustificate di chi rappresenta le istituzioni, anche finanziarie, prime fra tutte le Banche, le quali, anziché accompagnare i processi di ristrutturazione ed innovazione almeno di quelle imprese che riescono a stare sul mercato, hanno adattato una politica creditizia, di chiusura pregiudiziale e senza distinzione, nei confronti, in particolare, della minore impresa e dei consumatori.
Chiusura, peraltro, ingiustificata dal momento che i principali default, come si è visto, sono stati provocati dalla grandi imprese e dalle banche d’affari internazionali e non certo dalla minore impresa.
Non è il momento di ricercare responsabili.
Riteniamo, però, che la situazione attuale, testé sintetizzata, faccia Giustizia di quella scuola di pensiero – che aveva trovato numerosi seguaci negli ultimi anni – secondo cui la Piccola e la media impresa sarebbe stata condannata ad uscire dal mercato a vantaggio delle grandi imprese e delle multinazionali le quali erano le uniche in grado di innovare prodotti e processi.