di NICOLETTA D’ARBITRIO ZIVIELLO
Il dibattito che si è acceso sui quotidiani cittadini (Il Mattino, La Repubblica, Il Corriere del Mezzogiorno) e nei Convegni tenuti di recente sul restauro del centro storico, vede la predominante presenza degli architetti, ma la materia è molto complessa e dovrebbe comprendere l’intervento di più voci ed esperienze, anche quelle rappresentative delle arti del Fare che sono vaste e composite.
Che Napoli sia una delle più antiche città d’Europa…, come sottolinea Isaia Sales citando le motivazioni addotte dall’Unesco nell’inserire il centro storico nella lista del patrimonio mondiale, è una realtà da tutti condivisa (Corriere del Mezzogiorno, 25 novembre 2008). La Città è unica non solo per la ricchezza dei suoi edifici, ma anche per le attività artigianali ed artistiche che nelle loro mura hanno avuto sede e di cui oggi essi sono testimoni, come ad esempio l’Artigianato Artistico che da secoli anima gli antichi borghi. Le arti del Fare sono fra le più complesse espressioni culturali che la Città possiede e, pertanto, un progetto adeguato di recupero e restauro del centro antico non può ignorare le varie realtà e dovrebbe essere basato su una visione d’insieme, cosciente delle preesistenze, rispettosa dell’anima antica della Città. Poiché il centro storico già possiede “un’anima” ben delineata, il progetto di restauro dovrebbe essere “urbano”, cioè dovrebbe attenersi ai contenuti di cui il termine è nel complesso espressione. Vanno tutelate, quindi, le preesistenze e formulate tesi fattibili, non solo concettuali, come quella di una città universitaria estesa a spese di un centro storico mai abbandonato dalla popolazione, anzi densamente abitato e, peraltro, con la presenza di edifici la cui proprietà è prevalentemente privata.
Credo, infatti, sia fondamentale prendere atto della realtà e identità dei luoghi, rispettandola nei suoi contenuti civili e umani, rivolgendo una più consapevole attenzione sulle metodologie di restauro ed evitando infine di formulare astratte ipotesi d’uso. Come operatore impegnato da molti anni nel campo del restauro, ritengo che un intervento conservativo corretto debba essere preceduto da attenti studi e fondato su analisi ponderate e condivise.
L’assessore Felice Laudadio, ben conoscendo le realtà della Città, ha affermato che la vasta area di 750 ettari del centro storico non può essere monofunzionale (Corriere del Mezzogiorno, 26 novembre 2008) ed ha coerentemente segnalato, tra le attività già presenti e in sviluppo, l’artigianato, che rappresenta una realtà imprenditoriale egemone per i suoi contenuti autoctoni, fungendo per di più da attrattore turistico.
L’artigianato artistico di Napoli non è solo quello più individuabile nei laboratori che operano sul fronte stradale, ma le attività legate alle arti del Fare, sono più complesse e versatili, legate alla conoscenza dei materiali locali e alle tecniche storiche. Le loro peculiarità sono conosciute nel mondo, forse più che in Città, e costituiscono uno dei beni culturali del nostro territorio, insieme al patrimonio artistico, alle particolarità ambientali e alla sapienza gastronomica.
Come docente sono consapevole delle difficoltà che gli Istituti Universitari vivono per la mancanza di spazi, di aule e di attrezzature. La mancanza di strutture adeguate, destinate all’apprendimento, fu un problema già avvertito nel XVIII secolo e fu risolto con la creazione di nuovi edifici simbolo, come il Reale Albergo dei Poveri, che andarono a caratterizzare con la loro presenza vaste aree urbane. Il loro ruolo fu di dare un’anima, una precisa identità ai progetti tesi alla formazione di nuove competenze, indispensabili per il progresso della Capitale e del Regno, compito che il Reale Albergo assolse per circa un secolo.
Nella stessa area, agli inizi del XIX secolo, fu approntato il progetto di un altro grandioso edificio che doveva ancor più contrassegnare il luogo. Il piano prevedeva l’ampliamento del Palazzo degli Studi con l’inclusione degli spazi dell’antico complesso di Santa Teresa, per creare un’articolata struttura (attrattore strategico) che doveva ospitare aree destinate al Museo, alla ricerca, allo studio, al restauro, e perfino all’astronomia, visti come settori operanti sinergicamente. I noti avvenimenti del 1806, misero fine ai lavori già in corso, ma il programma, concepito su principi illuminati, fu in parte attuato nel Reale Albergo dei Poveri che mantenne il ruolo fattivo d’istituto di sperimentazione, eccelso contenitore di molteplici attività legate alla conoscenza e all’istruzione. Il modello operativo, concepito alcuni secoli fa, che intendeva unire i momenti d’apprendimento alla realtà operativa, va ripreso e adottato. Il maestoso edificio, con la sua storica vocazione e i suoi grandi spazi, potrebbe avere un importante ruolo nella formazione di esperti nei vari settori.
Il restauro del centro storico dovrebbe vedere coinvolti non solo professionisti e docenti, ma anche gli allievi e rappresentare per questi ultimi un’esperienza formativa. L’opportunità di acquisire competenze specifiche li vedrebbe certamente più presenti e partecipi alle problematiche conservative del patrimonio della Città, più preparati sulle tecniche storiche delle arti del Fare.