di ALESSANDRO LIMATOLA
Gli ultimi dati forniti dal Censis offrono l’opportunità per una riflessione sullo stato dell’arte.
I consumatori sono spaventati ed impauriti; ricevono quotidianamente segnali che li orientano in direzioni opposte.
I casi Parmalat e C. creano forti timori sulla convenienza a risparmiare; la stagnazione dell’economia che continua a non crescere li induce a non spendere, a “tirar la cinghia” per difendersi.
Il risultato che in questo modo si è venuto creare è il seguente: oltre il 60 per cento degli italiani ha utilizzato – tra il 2003 ed il 2004 – i risparmi per far fronte alle spese quotidiane; il 90 per cento ha paura che l’inflazione reale continui ad aumentare; l’87 per cento avverte la difficoltà di riuscire a tutelare e proteggere dall’inflazione i propri risparmi.
Nel 2003 la spesa per prodotti tradizionali “no food” (abbigliamento e casa) si è ridotta sensibilmente; nel 2004 – si stima- si dovrebbe ridurre del 46,3 per cento rispetto all’anno precedente.
Non si vedono all’orizzonte segnali in controtendenza. Anzi, la brusca frenata dell’economia appare ancor più evidente se si considera che nel 2004 una famiglia su tre è pronta a ridurre la spesa anche per i prodotti di consumo ad alto contenuto tecnologico.
Negli altri grandi settori ed in particolare in quello metalmeccanico le cose non vanno diversamente.
La crisi che ha attraversato ed attraversa il più grande gruppo automobilistico italiano ne è la conferma più evidente.
I consumi in questo comparto si manterranno nel 2004 sui livelli del 2003 sol perché artificialmente tenuti in vita dal credito al consumo che, negli ultimi tempi, ha registrato una forte espansione della domanda anche grazie ai bassi tassi d’interesse.
Analogo discorso va fatto per gli acquisti dei beni destinati alla casa; le aziende di questo settore, oltre al credito al consumo, hanno massicciamente utilizzato produzioni non europee – per lo più asiatiche – che, se hanno indebolito il nostro sistema industriale, hanno evitato l’impennata dei prezzi.
E’ riemersa una sindrome depressiva che ha fatto registrare un + 20,5 per cento con riguardo alle intenzioni dei consumatori ad aumentare le spese per prodotti alimentari, purché non di marca ovvero marcati ma oggetto di offerte speciali.
Nella stessa direzione vanno le intenzioni degli italiani ad affrontare spese per cure sanitarie e farmaci, nonché per l’acquisto di testi scolastici e servizi formativi.
Senza voler fare inutili allarmismi non si può negare che la situazione è gravissima ma non irreversibile. Ciò vale per l’intero sistema produttivo senza distinzioni qualitative o dimensionali.
Occorre, quindi, che si realizzino – subito – interventi in materia di politica economica che siano in grado di far ripartire la domanda interna e gli investimenti e che appaiono tali alle imprese ed alla maggioranza dei cittadini del nostro Paese.
In questa direzione va la riforma del sistema fiscale troppe volte annunciata e non ancora realizzata.
Le due aliquote (23 per cento e 33 per cento) sono ancora una chimera; eppure, se fossero state introdotte due anni e mezzo fa, si sarebbero liberate risorse per aumentare gli investimenti delle imprese e si sarebbe, quindi, messa in moto la macchina dello sviluppo e dell’occupazione.
L’intero sistema delle imprese deve essere aiutato ad innovare ed ad essere competitivo. Il PIL deve crescere (e non diminuire); la produzione industriale – che dipende per il 70 per cento dalla domanda interna – deve ripartire.
Non più rinviabili appaiono le annunciate riforme del sistema previdenziale ed un’organica politica dei redditi.
Il sistema previdenziale ed il mercato del lavoro sono il frutto di logiche e cicli economici lontani anni luce dall’epoca attuale, caratterizzata da un’irreversibile globalizzazione e da una, mai vista prima, velocissima evoluzione tecnologica.