di ALESSANDRO LIMATOLA – Segretario Generale CLAAI Campania
Come uscire dalla crisi è liet motiv degli ultimi mesi (speriamo che non ancora per molto tempo le prime pagine dei giornali).
Il dato però incontrovertibile è che le imprese italiane che risentono più delle altre della crisi sono quelle che hanno concentrato negli anni in quello interno il loro mercato di riferimento.
Questo principio è ancor più vero ed incontrovertibile se si considera che la crisi attanaglia le imprese italiane con mercato esclusivamente o prevalentemente italiano indipendentemente dalle (loro) dimensioni.
Cosa fare allora, come fare per risollevare i fatturati!
Al di là delle misure tradizionali (riduzione del carico della burocrazia, sblocco dei pagamenti da parte della PA, incentivi per chi assume e per chi investe in ricerca) bisogna pensare a nuovi mercati, dove l’aggettivo nuovi costituisce l’asse portante – a nostro giudizio – della ripresa economica nazionale e meridionale.
Tradotto in misure concrete significa aiutare le imprese con mercato domestico ad esportare e/o intercettare commesse all’/dall’estero. Significa anche aiutare le imprese che già esportano ad internazionalizzarsi, stabilizzarsi sui mercati che già seguono, occupano sul piano commerciale.
Questo principio – secondo noi – può ritenersi universale dal momento che coinvolge ed interessa non solo chi produce o vende beni ma anche chi tratta servizi; non solo chi distribuisce i propri prodotti e servizi all’estero ma anche chi intende intercettare commesse dall’estero le cui produzioni sono destinate ad essere realizzate in Italia.
Questa esigenza è avvertita dalle imprese in maniera chiarissima come appare dagli ultimi sondaggi demoscopici realizzati nelle ultime settimane.
Del resto sono le esportazioni a tener a galla in questo momento la ns. Economia.
Le imprese e gli imprenditori nazionali sono convinti, ad esempio, che il sistema delle Fiere per incontrare nuovi potenziali clienti è ancora uno strumento assolutamente competitivo; credono non solo nelle manifestazioni “Storiche” ma anche in quelle manifestazioni organizzate ad hoc all’estero per i loro settori/filiere.
L’unica difficoltà è rappresentata dai costi del sistema fieristico, specie nazionale.
E’ chiaro che il concetto di fiera si è evoluto – come tutto e tutti – nel tempo. Non è possibile pensare di replicare il modello fieristico degli anni 60/70.
La causa dello “spegnimento” negli ultimi anni di molte manifestazioni fieristiche, anche gloriose, su tutto il territorio nazionale va ricercata nel fatto che gli Enti che le gestivano non hanno saputo rinnovarle, aggiornarle in base alle nuove esigenze delle imprese.
Questo significa che bisogna puntare su nuove forme ed ancor di più sui servizi pre e post fiera. Finora si è puntato per lo più alla presentazione dei nuovi prodotti senza tener conto l’immediata finalizzazione dell’investimento.
Siamo convinti che lo strumento è assolutamente idoneo ad aumentare la visibilità tra i buyer esteri delle ns. imprese, così come capace di creare sinergie tra le imprese di una stessa filiera merceologica e di confrontarei propri prodotti con quelli dei competitor più immediati.
La politica degli Enti preposti a favorire lo sviluppo deve avere chiara la visione che il sistema fieristico costituisce un’opportunità costante di sviluppo (non un rapporto occasionale) e deve porsi come partner stabile delle ns. imprese.
Si pensi, ad esempio, alle attività di supporto nella selezione dei mercati su cui puntare, così come alla creazione di vere e proprie reti di vendita locali per chi ha già esperienze di export.
Bisogna, in altre parole, porre in essere azioni per incentivare, modernizzare nel senso sopra riportato le fiere italiane ed organizzare manifestazioni “italiane” all’Estero, bisogna – magari creando un marchio fieristico collettivo – rendere riconoscibile non solo il prodotto italiano ma anche gli eventi di presentazione delle ns. imprese oltre frontiera.