Una gran voglia di fare, una gran voglia di cambiamento.
Questo è il sentimento più diffuso in questo momento nel Governo del Paese che incontra, a quanto pare, in larga misura il consenso dei cittadini…
Il mondo dell’Economia in questo contesto non può fare altro che sostenere chi cerca di cambiare il Paese, proprio nel momento in cui s’intravede la luce in fondo al tunnel.
L’Economia italiana deve ritrovare la sua identità, un’identità smarrita da almeno due decenni.
Manifattura, identità territoriale, specializzazione e formazione sono a nostro giudizio le parole chiave per far ripartire i motori della produzione e dell’occupazione.
Il ns. tessuto imprenditoriale deve essere sempre più integrato nell’ordito manifatturiero europeo occupando, anzi mantenendo, il posto che merita: seconda manifattura dopo la Germania per quantità e valore della produzione.
Dalla ns. parte abbiamo, però, in più la creatività che fa la differenza; una marcia in più che ci può consentire di avere uno scatto in là e di conquistare anche la leadership europea della produzione.
Per fare ciò bisogna però sostenere la ricerca e, quindi, la formazione.
E’ necessario coniugare con la produzione l’innovazione perché senza innovazione si arretra tornando a competere con le (ex) economie in via di sviluppo che in quanto a “competitività”, specie nell’area del costo del lavoro, sono imbattibili.
Senza ricerca non c’è, dunque, innovazione ma senza innovazione non c’è neppure competitività!
Per aversi ricerca, ricerca (non fine a sé stessa ma) applicata finalizzata alle produzioni, è necessario che si faccia formazione, tanta formazione, anche in questo caso orientata all’impresa e, dunque, a creare occupazione.
Identità e formazione è il binomio che ha fatto grande l’Italia nell’immediato dopoguerra; è il principio al quale si sono ispirati le precedenti generazioni che hanno portato la ns. Economia – uscita disastrata dal secondo conflitto bellico mondiale – ad essere fino alla quinta/sesta economia globale.
Va recuperato lo stesso spirito dell’epoca sia pure in chiave moderna. Dobbiamo recuperare l’importanza della formazione tecnica nelle scuole.
Ci sembra la prima scelta autentica di politica industriale che il nuovo Governo dovrebbe portare avanti essendo peraltro impegnato ad inviare (finora solo) messaggi in ordine all’importanza della scuola e della formazione.
E ci sembra una scelta di politica industriale sulla quale le parti sociali non potranno non trovarsi d’accordo.
Dunque, produzione e formazione passando per i territori e puntando alle nicchie di mercato per guardare ai mercati globali.
Molto spesso, per troppo tempo, ci si è fatti attrarre dalle sirene della finanza dimenticandoci della manifattura che, in un rinnovato contesto industriale – come quello innanzi segnalato – potrebbe dare grandi risultati specie per quei Paesi come l’Italia (e la Germania) che affondano qui le proprie radici centenarie.
Siamo, peraltro, ad un importante stadio del progresso tecnico e tecnologico: le macchine a tre dimensioni stanno per modificare completamente la manifattura.
Bisogna cogliere questo momento, essere tra i primi ad innovare nelle manifattura e riconquistare quella posizione di vertice che ci compete nel sistema produttivo globale grazie anche a qualità, diversificazione, innovazione e gusto.
Su queste politiche ci si dovrebbe confrontare, anche a breve, non solo a livello centrale ma anche sui singoli territori puntando sulle tante specificità ed eccellenze territoriali oltre che sui ns. distretti industriali.