di GIANLUCA STANZIONE
La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 7630 del 16 maggio 2003 affronta definitivamente l’annoso problema della responsabilità dello Stato per la mancata trasposizione di direttiva comunitaria, discostandosi decisamente da una precedente decisione con la quale aveva stabilito l’irrisarcibilità del danno da mancata attuazione di quelle non self – executing.
Dopo aver richiamato la distinzione tra direttive analitiche e self executing, che trovano immediata applicazione negli ordinamenti interni, anche in mancanza di una norma di recepimento, e direttive non executing, che hanno quindi bisogno di un atto nazionale di recepimento, la giurisprudenza di legittimità sostiene che la mancata attuazione di una direttiva comunitaria del secondo tipo comporta comunque l’obbligo risarcitorio.
La stessa Corte di Giustizia ha dal canto suo enunciato il principio secondo cui lo Stato che non recepisce una direttiva è tenuto a risarcire i danni purchè siano soddisfatte tre condizioni vale a dire, che la norma violata abbia lo scopo di attribuire diritti a favore dei singoli il cui contenuto possa essere identificato, che la violazione sia sufficientemente grave e che esista un nesso di causalità diretto tra la violazione dell’obbligo imposto allo Stato ed il danno subito dai soggetti lesi.
Nel giudizio definito dalla sentenza in esame, la Cassazione ha accolto la domanda di un medico specializzando che aveva esaurito il periodo di formazione ben prima del recepimento della normativa comunitaria con la quale la Comunità europea aveva disciplinato e reso obbligatorio per tutti gli Stati membri l’istituzione di corsi di specializzazione medica con previsione di adeguata retribuzione per i partecipanti, riconoscendo l’illecito comunitario e condannando la Repubblica Italiana a corrispondere un importo commisurato al quantum previsto dal D.lgs. 257/91.
Lo Stato italiano ha, infatti, trasposto tardivamente la direttiva comunitaria 82/76 di riferimento, prevedendo il riconoscimento di un assegno annuale per i soli corsisti iscritti dopo l’entrata in vigore del D.lgs. 08.08.1991 n. 257, pregiudicando così la posizione dei medici specializzandi che avevano iniziato il periodo di specializzazione anteriormente all’anno 1991/92 e che comunque avevano svolto un tirocinio a tempo pieno.
La soluzione adottata dal giudice di legittimità conferma quella linea di pensiero finalizzata a favorire l’applicazione della normativa comunitaria alla luce della normativa interna successivamente introdotta fino al punto di provocarne una sua applicazione retroattiva, resa necessaria proprio per evitare la disapplicazione della stessa per contrasto con la norma comunitaria.