di ALESSANDRO LIMATOLA
Da diverse settimane non si fa che parlare della destinazione da dare alle risorse del cd. “tesoretto”, cioè dell’extragettito fiscale registrato dalle casse dell’Erario negli ultimi mesi.
Riteniamo che l’argomento – così come impostato – sia altamente dannoso per l’Italia e per gli italiani viste le gravi condizioni in cui versa il bilancio dello Stato.
La sensazione che si avverte, specie dalle posizioni che assumono le categorie diverse da quelle del lavoro autonomo, è quella di un’euforia (a nostro giudizio inopportuna) per un risultato inatteso con il conseguente desiderio di “metter le mani” su una somma “piovuta dall’alto” (rectius: proveniente dal sistema produttivo) che, per una sorta di regola non scritta, dovrebbe, per principio, essere destinata alle pensioni ed al mondo del lavoro.
Riteniamo sbagliata – nel metodo e nel merito – tale posizione perché a nostro giudizio l’opera di risanamento dei conti pubblici, lungi dall’essere completata, è solo all’inizio e le risorse dell’extragettito non possono che essere integralmente destinate alla riduzione del deficit pubblico e dell’indebitamento complessivo dello Stato, ancora tra i più alti d’Europa.
Il “lavoro” sul terreno del risanamento non può ritenersi terminato anche perché oltre al miglioramento delle entrate bisogna guardare, anzi intervenire, sull’altra faccia della medaglia: il miglioramento dell’efficacia della spesa.
Da troppo tempo assistiamo ad una spesa pubblica incontrollata e soprattutto inefficace che, in quanto tale, oltre a non portare benefici alla Collettività, determina un pernicioso rallentamento del progresso della Società e dell’ammodernamento della macchina dello Stato.
E’ qui che si deve operare con grande determinazione perché recuperando efficacia, efficienza ed economicità si può ridurre il costo complessivo della macchina dello Stato e, quindi, del carico fiscale su imprese e lavoro.
Nello stesso tempo bisogna intervenire, senza lasciare spazio ad atti di furbizia o tentennamenti, per far sì che la complessa galassia del pubblico impiego venga, da un lato, responsabilizzata e, dall’altro, aiutata a migliorare i livelli di professionalità interni.
Ci sembra uno strumento propedeutico sia per superare l’appiattimento salariale, figlio delle politiche sindacali di qualche decennio fa, sia per premiare da un lato i migliori e sanzionare, dall’altro, quelli che il presidente di Confindustria ha definito “fannulloni”. Non va, infatti, dimenticato che la stabilità del posto di lavoro nella P.A. finora, in Italia, è stata assoluta come del resto evidenziato e reso pubblico da recenti inchieste giornalistiche.
Dalle brevi considerazioni che precedono riteniamo, in sintesi, che una politica economica rigorosa e non demagogica debba, in primo luogo, spingere il governo ad utilizzare le risorse dell’extragettito esclusivamente per ridurre l’indebitamento dello Stato, ponendo così fine all’ampia e sterile discussione per chi ha un mare di debiti sul come utilizzare questo piccolo ed inaspettato risparmio; in secondo luogo, va portata avanti con coraggio e determinazione la politica di risanamento intervenendo sul livello e la qualità della spesa pubblica; in terzo ed ultimo luogo vanno aggiornate le regole del gioco anche nel pubblico impiego al quale, fino a questo momento, è stato consentito il lusso, non più sostenibile, di essere considerato una sorta di riserva protetta.
Più che temi di politica economica ci sembra che siano regole di buon senso che ogni buon amministratore della Cosa Pubblica dovrebbe avere ben presente in ogni momento della sua azione di Governo.