di ALESSANDRO LIMATOLA
Da inizio anno i commentatori e gli analisti si affannano nel ricercare le cause della ripresa economica registrata dall’Istat a fine anno.
E’ uno sport al quale ci sottraiamo volentieri dal momento che la percentuale d’incremento del PIL è assolutamente modesta e non giustifica affatto l’euforia da alcune parti manifestata.
Secondo l’Istituto di statistica la crescita del PIL nel 2006 si attesterebbe intorno al 2%, cioè qualche decimo di punto in più rispetto agli anni precedenti.
A nostro giudizio si tratta di un incremento assolutamente contingente e non strutturale che dovrebbe interessare più gli esperti di statistica che la Politica e l’Economia non essendo un fenomeno rilevante su questi piani.
Del resto l’incremento è ancora al di sotto della linea ideale, rappresentata dalla crescita media dei Paesi UE che si attesta al 2,6%.
Questo non significa che non nutriamo speranze per il 2007 e per gli anni a venire ma di qui ad affermare che il Paese è ripartito, ce ne passa !
Il segnale (e solo di questo si può parlare) di miglioramento deve, invece, rappresentare uno sprone per accelerare il percorso delle riforme che può contribuire in maniera determinante a risolvere i problemi di competitività dell’Italia e del Sud in particolare.
Per fare ciò bisogna metter mano a riforme strutturali e non a tiepide mini riforme di semplificazione o demagogiche aperture al mercato.
I dati pubblicati da autorevoli centri studi confermano che al Nord Italia il mercato del lavoro c’è ma la produttività del lavoro è ancora al di sotto della media europea. Al Sud la storia, come di consueto, è ancora più complessa perché, oltre ad aversi una produttività molto bassa, il mercato del lavoro è totalmente assente essendo ingessata la domanda di manodopera.
In assenza di produttività la competitività internazionale, si allontana sempre più, diventa una chimera e la falla nell’export internazionale (quello che ha fatto diventare grande il nostro Paese) diventa sempre più importante.
Ma la stasi non c’è solo nel mondo del lavoro dipendente e nella complessiva produttività aziendale che rimane inferiore del 55 % rispetto ad economie che vanno a gonfie vele come quella, ancorché matura, degli Stati Uniti.
Ad esempio la PA non dà una buona immagine di sé allorquando sceglie, secondo criteri di appartenenza e non meritocratici, la Dirigenza delle sue principali strutture anche operative. Dirigenza che dovrebbe essere la scintilla per un circuito virtuoso e che dovrebbe mettere in campo nuove strategie e tattiche.
Per continuare a fare degli esempi, nella Sanità si continuano ad effettuare tagli, anche ai trasferimenti agli Enti locali, senza però programmazione e soprattutto in assenza di una diversa organizzazione nello stesso momento in cui continuano a proliferare sprechi e casi di “mala sanità”.
Nel mondo della ricerca non andiamo meglio.
Nonostante gli appelli del Presidente della Repubblica, si continuano a considerare i ricercatori ed i formatori figli di un Dio minore, senza cioè considerazione sociale nè gratificazioni materiali.
Sul piano energetico l’Italia – dopo, l’oramai ventennale, scelta demagogica di rinunciare al nucleare – non ha fatto alcun passo avanti sul terreno delle fonti alternative e dell’energia rinnovabile, rimanendo così legata a doppio filo (e dipendente) ai prodotti petroliferi. Da qui nasce il solito balletto quando sui mercati internazionali il prezzo del petrolio s’impenna, dato questo che impoverisce sempre più il sistema produttivo italiano ed arricchisce i (pochi) trasformatori che agiscono in regime di sostanziale oligopolio.
Infine, sul terreno delle infrastrutture, se l’intervento pubblico arranca per le note difficoltà di bilancio, strumenti alternativi di collaborazione pubblico – privato non ridono: l’importantissimo istituto del project financing è rimasto sostanzialmente “sulla carta” con un numero di applicazioni assolutamente inadeguato. Eppure avrebbe potuto contribuire in misura determinante all’adeguamento delle nostre infrastrutture, le più importanti delle quali sono state concepite nel dopoguerra.
Da quanto innanzi discende che, per esaltarsi, non basta un incremento del PIL di qualche decimo di punto quando l’orizzonte è ancora fosco, molto fosco.
Per diradare le nubi, secondo noi, è necessario intervenire sui fattori sopraindicati con una Politica che sappia fare il suo mestiere e che possa coprire ad ombrello gli interessi veri cioè quelli generali del Paese.
Alcuna impresa, ancorché virtuosa e di dimensioni internazionali, è in grado di sostituirsi alla Politica realizzando da sola anche nell’interesse generale ristrutturazioni e riqualificazioni territoriali; assi viari ecc. .
Abbiamo bisogno di più Politica che sappia pensare e lavorare al Bene Nazionale tenendo conto delle profonde trasformazioni registrate nell’ordine sociale, nei valori, nei sentimenti e nelle tradizioni del Paese.