di ALESSANDRO LIMATOLA
La sentenza della Consulta del 28 gennaio 2005 è lo spunto per fare il punto della situazione sul mercato del lavoro e sulla sua riforma.
La Legge delega n° 30 del 2003 ed il successivo d.lgs. 276 del 2003 di attuazione sono stati avversati da ogni parte: le Regioni ritengono che il Governo abbia invaso la loro potestà legislativa e regolamentare, i sindacati ritengono che la riforma abbassi eccessivamente il livello delle tutele dei lavoratori, le imprese la ritengono insufficiente e comunque inidonea a risolvere i conflitti esistenti dalle parti sociali.
In Italia quando una riforma scontenta tutti è il segno che il Legislatore è riuscito a mantenere in equilibrio l’impianto normativo.
Per la riforma del mercato del lavoro così non è perché effettivamente la norma è in parte oscura ed in parte lacunosa.
Tuttavia, il segnale, l’inversione di tendenza sono gli aspetti più interessanti.
Tutte le riforme -ed in particolare quelle strutturali o semi – strutturali dopo anni d’immobilismo- richiedono degli aggiustamenti che, però, sul piano del metodo, possono e – per la materia che ci occupa – potranno essere effettivamente individuati solo dopo una giusta, anche se breve, fase di rodaggio.
E’ sempre possibile modificare, per innovare e competere il tempo è quasi finito.
Beninteso, il sistema delle piccole e medie imprese non ha come obiettivo quello di sacrificare il livello di sicurezza e le giuste garanzie dei lavoratori ma è pienamente consapevole che la sfida della competitività si potrà vincere solo con una modifica complessiva delle norme che regolano i fattori della produzione: capitale e lavoro.
Solo così si potrà lavorare per evitare che l’Italia sia condannata a rimanere nell’ambito delle produzioni di secondo livello essendo state oramai, globalmente e definitivamente, assegnate quelle di terzo livello ai Paesi dell’Asia e dell’Est Europa.
Per fare ciò occorre però uno sforzo corale e la cd. “Riforma Biagi”, nel suo settore di riferimento, è un primo e non definitivo passo che va valorizzato, migliorato e non osteggiato di principio.
Del resto il via libera della Consulta ne è la conferma più ravvicinata ed autorevole.
Non resta, quindi, altra soluzione che concludere velocemente il processo di attuazione della Legge Delega che risale oramai a due anni fa, troppi per un Esecutivo che dichiara di essere vicino al sistema delle imprese e si pone l’obiettivo di ridurre i propri tempi in modo da accelerare e non frenare le attività produttive con i suoi, ancora esistenti, lacci e laccioli.
Uno sforzo, specie culturale, va compiuto anche dalle forze sociali, specie del Sud, le quali devono adeguatamente divulgare i nuovi istituti e le opportunità di lavoro per i giovani e le imprese.
E’ inconcepibile che nel Mezzogiorno- da sempre pigro- le nuove forme di lavoro non superino il 10% dell’occupazione complessiva.
Tale situazione è ancora più inconcepibile ove si consideri che, nonostante tutti gli sforzi profusi, ciò avvenga in un’area dove si fa ancora largo ricorso al lavoro nero.
Per questo motivo è intollerabile che si spari a zero pregiudizialmente su una delle possibili riforme del mercato del lavoro che tra gli obiettivi primari ha proprio quello di far emergere il lavoro sommerso ove, è giusto ricordarlo, la “flessibilità” è totale.
Guardiamo in positivo, cogliamo gli aspetti utili della riforma, facciamola partire e monitoriamo con attenzione lo start-up, senza pregiudizi e senza comportamenti strumentali.
Se ciò fosse stato fatto in precedenza – nei due anni che sono trascorsi dopo la legge delega – oggi avremmo potuto commentare i risultati e predisporre, se necessarie, le misure integrative per la sacrosanta salvaguardia della dignità e delle tutele dei lavoratori.
Questo non vuol dire che il sindacato deve sostenere “a spada tratta” la riforma, è necessario però che non si ponga sempre e, comunque, di traverso.
Altrimenti non sapremo mai se la luce in fondo al tunnel è vicina o ancora terribilmente lontana!