Ancora molta confusione intorno a questo importante adempimento documentale
di DOMENICO BERRITTO*
Il documento di valutazione dei rischi costituisce (o almeno dovrebbe costituire) uno strumento operativo atto a consentire ai responsabili aziendali di adottare le misure di sicurezza idonee a ridurre al minimo i rischi specifici presenti in quella particolare realtà aziendale.
Tali misure di sicurezza, che devono essere poi adeguate nel tempo, comprendono senz’altro tutte le prescrizioni contenute nella normativa di tipo prevenzionale (DPR 547/55, DPR 303/56, ecc.), ma, in alcuni casi, possono e devono andare oltre tali misure, comprendendo anche l’analisi delle lavorazioni effettuate nell’azienda, delle quantità e qualità di sostanze adoperate, del tipo di organizzazione dell’impresa.
Il documento di valutazione dei rischi è dunque un essenziale “strumento di lavoro” per il datore di lavoro, “garante di sicurezza” verso i suoi dipendenti, e non può rappresentare solo il mezzo attraverso il quale il datore di lavoro persegue gli obiettivi fissati dal D.Lgs. 626/94, e per stare “a posto” come spesso si sente dire.
Il D.Lgs. 626/94 ha infatti previsto una specifica e salata sanzione in caso di mancata predisposizione del documento di valutazione dei rischi; è stato infatti ritenuto che tale omissione sia indice di un comportamento gravemente negligente e dell’assoluta mancanza di volontà di perseguire politiche aziendali volte a garantire l’incolumità dei lavoratori ed il rispetto delle norme di sicurezza.
Il documento di valutazione dei rischi deve contenere la rilevazione e l’analisi delle varie forme di rischio, l’individuazione delle misure di prevenzione e protezione conseguenti, la determinazione delle modalità di aggiornamento delle misure di prevenzione, in funzione delle modifiche del sistema di lavorazione, delle innovazioni tecnologiche e del livello di sicurezza raggiunto nei diversi comparti produttivi.
Va rilevato che la legge non detta prescrizioni vincolanti sulla metodologia di valutazione dei rischi, limitandosi a fissare dei criteri di massima (il datore di lavoro ha poi, comunque, l’obbligo di indicare i criteri seguiti per effettuare tale valutazione) quello che conta per il legislatore è il risultato finale ossia una maggiore attenzione al “problema sicurezza” e un efficace sistema di prevenzione in azienda.
Resiste ancora (anche se il dubbio è stato ampiamente chiarito dalle autorità competenti) la convinzione errata che la famosa “autocertificazione”, prevista per aziende che occupano meno di dieci dipendenti, possa in tutto sostituire una redazione formale di un piano di valutazione dei rischi, sembra, infatti decisamente improponibile un modello di valutazione dei rischi effettuata esclusivamente “mentalmente” senza che rimanga alcuna traccia scritta di tale attività.
L’autocertificazione, infatti, è stata introdotta dal Legislatore solo ed unicamente per le micro-imprese per le quali, essendo i rischi ed il personale coinvolto estremamente limitati, il datore di lavoro (molte volte anche in qualità di Responsabile della sicurezza) è stato ritenuto idoneo per l’individuazione dei rischi nella propria azienda e la stesura di un programma di interventi di prevenzione e protezione.
Peraltro, sembra utile sottolineare come sia interesse del datore di lavoro, anche per una micro-azienda, affidare tale compito a personale esperto e capace, per disporre di un documento che, attraverso una “fotografia” delle situazioni di rischio presenti in azienda, consenta di individuare le soluzioni tecniche atte a ridurre al minimo i rischi, al minor costo possibile.
*consulente Claai per la sicurezza ambientale e sul lavoro
Per maggiori chiarimenti in merito agli obblighi previsti dal D.Lgs. 626/94 Domenico Berritto riceve c/o la sede Claai di Napoli, il martedì ed il venerdì dalle 16.00 alle 19.00 previo appuntamento.