Imprese artigiane: non è giusta la sottoposizione a Tarsu delle aree produttive
di EGIDIO PAOLUCCI*
Riteniamo opportuno affrontare nuovamente il tema legato allo smaltimento dei rifiuti speciali, data la grande eco che ha avuto la recente approvazione del c.d. codice ambientale nell’ambito della categoria di imprese rappresentata dalla nostra Associazione.
Riteniamo subito anticipare che la questione, di origini invero non proprio recenti, è seguita con particolare interesse da questa Associazione perché coinvolge il mondo dell’artigianato in maniera imponente sia sotto il profilo degli oneri burocratici che sotto il profilo degli oneri economici; per la verità non sempre in maniera giusta.
Avevamo avuto modo di evidenziare già in sede di primissima attuazione della legge istituiva delle tariffe e degli adempimenti connessi allo smaltimento dei rifiuti solidi urbani e dei rifiuti speciali (ovvero dopo l’entrata in vigore del D.lgs. 507/93), che la tassazione da parte delle singole Amministrazioni comunali, avveniva in maniera – a nostro avviso – non esattamente conforme alle disposizioni di legge.
I regolamenti dei singoli Comuni con i quali vengono disciplinate le modalità di tassazione delle aree produttive artigianali ai fini Tarsu, muovono da presupposti che riteniamo errati e giungono a conclusioni che riteniamo altrettanto errate.
Essi nel corso di questi anni hanno provveduto alla sottoposizione a tassa per lo smaltimento dei rifiuti urbani (Tarsu) anche le aree produttive artigianali con una percentuale che varia da categoria a categoria ma tale comportamento – riteniamo – non trova giustificazione né fonte nelle norme di legge.
In particolare, ciò è stato fatto nel passato (e viene fatto tuttora) sul solo presupposto che secondo le Amministrazioni risulterebbe difficile individuare nelle singole unità produttive la esatta superficie dove effettivamente si producono rifiuti speciali.
Ed allora, la soluzione adottata è stata quella di tassare tutte le aree anche se con una percentuale ridotta e diversa da categoria a categoria.
In pratica, i Comuni partono dal errata presunzione che tutte le aree sono tassabili ma che – attesa la produzione di rifiuti speciali da parte delle imprese artigiane – la tassazione viene praticata con percentuali ridotte.
Al contrario, le aree destinate ad attività artigiane non sono affatto tassabili perché vi è la presunzione che in esse non si producono affatto rifiuti assimilabili a quelli urbani né l’assimilazione potrà mai essere considerata implicita come ha ritenuto di fare qualche Amministrazione locale.
Importante è la novità introdotta dall’art. 198 del nuovo Codice Ambientale, laddove è stato stabilito a chiare lettere che i Comuni devono adottare un esplicito provvedimento di assimilazione dei rifiuti che intendono sottoporre a tassazione; senza dello stesso non vi può essere sottoposizione a Tarsu.
In caso contrario, la situazione comporterebbe una inaccettabile doppia tassazione sulla medesima area produttiva una volta da parte del Comune ed un’altra volta da parte dello Stato attraverso l’obbligo di smaltimento a proprie spese dei rifiuti speciali attraverso imprese private.
Questa Associazione sta ponendo in essere una serie di iniziative nell’ambito delle sue prerogative di rappresentanza del mondo dell’artigianato e della piccola e media impresa, al fine di porre fine a questo annoso problema.
E non è detto che se le cose andranno nel verso giusto non scatti l’obbligo per le Amministrazioni di restituire i pagamenti non dovuti!
responsabile ufficio legale Claai