Ha resistito quasi tre anni, ma alla resa dei conti, è caduta una delle norme che da molti era stata considerata fra quelle che più andavano contro i principi costituzionali a tutela della proprietà privata.
Ci riferiamo all’art.7 della legge nr.431/98, in materia di sfratti ad uso abitativo, introdotta nel nostro ordinamento dal precedente Governo, la quale, rubricata condizioni per la messa in esecuzione del provvedimento di rilascio dell’immobile, così disponeva : “condizione per la messa in esecuzione del provvedimento di rilascio dell’immobile locato è la dimostrazione che il contratto di locazione è stato registrato, che l’immobile è stato denunciato ai fini dell’applicazione dell’Ici e che il reddito derivante dall’immobile medesimo è stato denunciato ai fini dell’applicazione dell’imposta sui redditi”.
In sostanza il Legislatore aveva inteso subordinare il diritto del locatore (quasi sempre proprietario) ad ottenere il rilascio dell’immobile se prima non aveva regolarizzato gli ‘adempimenti di carattere fiscale e tributario; con la conseguenza che, in caso di parziale o totale mancato pagamento degli oneri fiscali e tributari durante il corso del rapporto locativo, al locatore-proprietario veniva preclusa la possibilità di ottenere il rilascio dell’immobile.
La recente sentenza nr.333 della Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale la disposizione appena richiamata, con la conseguenza che la stessa non dovrà più essere applicata.
In sostanza la Corte Costituzionale ha dato ascolto alla “levata di scudi” che era stata posta in essere dalle associazioni della proprietà, durante gli ultimi anni, stabilendo che una cosa è l’obbligo di ogni cittadino al pagamento delle tasse e dei tributi ed altra cosa è l’esercizio delle facoltà connesse al diritto di proprietà : le seconde non possono essere condizionate e soppresse dalle prime ed il diritto di proprietà è bene primario tutelato in maniera assoluta dalla nostra Carta Costituzionale.
È ovvio pensare, quindi, che l’intervento della Corte Costituzionale è consistito, in effetti, in un atto dovuto contro un provvedimento che violava i più elementari principi del nostro ordinamento giuridico in materia di diritto di proprietà, e che introduceva i vecchi e superati principi riassunti nel brocardo latino del solve et repete, ovvero “per ora paga e poi si vedrà, eventualmente ti sarà restituito”.
L’incostituzionalità della disposizione in esame è derivata anche dalla ulteriore considerazione che la stessa prevedeva provvedimenti che, senza giovare alla controparte, imponevano ai locatori-proprietari di adempiere ad obblighi formali e/o fiscali, prima di poter attuare il provvedimento di sfratto, ottenuto nei confronti dell’inquilino, magari dopo numerosi anni di estenuati e defatiganti cause.
La decisione ha, di contro, provocato grandi reazioni da parte delle associazioni degli inquilini avendo tolto a questi la possibilità di esperire l’azione di “opposizione allo fratto” che, in questi casi, veniva attuata strumentalmente, non già su reali elementi giuridici e per denunciare casi reali di ingiustizia, ma veniva attuata con lo strumento della “delazione” e, quindi, la denuncia del locatore non in regola, ad esempio, con la registrazione del contratto di locazione.
È ovvio che il pagamento delle tasse è dovere civico e giuridico di ogni cittadino e, pertanto, ogni comportamento elusivo e/o evasivo di tale dovere va represso.
Ma alla Corte Costituzionale è sembrato giusto che la repressione e, prima ancora, la prevenzione dell’evasione fiscale non andasse attuata mediante semplicemente la segnalazione dell’inquilino, anche proveniente da soggetto che, con essa, perseguiva interessi personali non interessi della collettività.
Egidio Paolucci
responsabile ufficio legale Claai
dal Notiziario CLAAI – Novembre 2001