di ALESSANDRO LIMATOLA
Le profonde e velocissime trasformazioni in atto nel circuito economico globale producono ovviamente i loro riflessi anche sul già fragile sistema economico campano.
Ciò crea non poche difficoltà a chi tenta, da anni, di risalire la china e determina quel generalizzato senso d’incertezza e precarietà che pervade la maggior parte degli imprenditori meridionali ed italiani, piccoli e grandi.
E’ chiaro che tutti sono consapevoli che le attività economiche devono indispensabilmente completare il passaggio dal settore manifatturiero locale (ancora troppo legato al fenomeno del terzismo) a produzioni proiettate sui mercati globali, con un tasso tecnico – e, quindi, di valore aggiunto – alto al punto da garantire la competitività delle nostre merci.
Per completare la transizione occorre, però, uno sforzo culturale generalizzato, senza il quale non si riesce a completare la modernizzazione del nostro sistema produttivo.
Le questioni che fungono da freno sono purtroppo, da anni, le stesse. Elencarle, per alcuni, potrebbe essere una noiosa litania. Noi riteniamo che la consapevolezza dei problemi, lo sviscerare i punti nodali delle questioni sul tappeto rappresenta uno strumento importante per costruire, sulle macerie, il nuovo edificio della modernizzazione dell’Impresa.
Tra i primissimi limiti c’è un individualismo ed un personalismo esasperati, a tutti i livelli.
“Fare squadra” è spesso uno slogan retorico utilizzato per lo più nei discorsi inaugurali o in quelli d’insediamento.
C’è, invece, un insopprimibile necessità di fare sistema, a tutti i livelli: dalle imprese, agli enti locali, dalla politica alle associazioni.
Pur nella consapevolezza che “incrostazioni” autorefenziali decennali, se non secolari, non si combattono nello spazio di una stagione, è necessario, da subito almeno creare una “rete” che possa, in ultima analisi, contribuire a realizzare quelle pre-condizioni per lo sviluppo che, in massima parte, sono coincidenti e sovrapponibili alle cause del gap di competitività del nostro sistema produttivo rispetto alle regioni più avanzate del centro nord.
Dicevamo, occorre uno sforzo culturale generalizzato che, in primo luogo, deve mirare a superare innanzitutto un profilo di cultura economica ancora piuttosto basso il quale, nell’immediato, si traduce in difficoltà obiettive nel realizzare appieno i passaggi generazionali nella conduzione delle aziende e nella scarsa familiarità con la moderna economia e con la finanza d’impresa.
Occorre, sul versante pubblico, superare e completare le grandi incompiute infrastrutturali, consapevoli, come siamo, che la creazioni di interventi, materiali ed immateriali, pubblici efficienti sono molto più importanti di contributi individuali equivalenti la cui efficacia è troppo spesso dubbia o di brevissima durata. Non solo ma un uso non strutturato o controllato di contributi ad personam può, in taluni casi, rappresentare un fattore distorsivo del mercato.
Tutti questi elementi negativi sono sì innegabili, ma hanno dall’altro lato una vastissima capacità e creatività delle genti meridionali che, se ben sfruttate, possono davvero fare da contro altare e far vincere le difficili sfide del futuro.
Non conosce perfettamente l’inglese commerciale, ma l’operatore economico meridionale ha la fortuna e la possibilità di conoscere il mondo e gli strumenti per promuovere le proprie attività. Ha in sé i germi dell’inventiva ed una grande capacità persuasiva. Ha cominciato a girare, prima degli altri, il pianeta spinto dalla povertà e dalla necessità di cercare fortuna altrove.
Una buona dose del contestato, eccessivo personalismo nasce proprio da questo, dalla necessità che ha dovuto affrontare l’imprenditore di “ farsi da solo” .
Il vero modello, alla fine, è questo: bisogna ridurre, canalizzandolo, il tasso d’individualismo oggi presente con l’obiettiva necessità di mettersi in rete avvertita oggi da tutti come un valore ed un dato irrinunciabile costituendo una condizione di sopravvivenza delle nostre imprese.
Nello stesso tempo bisogna cogliere, valorizzandole, le capacità individuali tenendo sempre presenti che i rischi dell’appiattimento generalizzato e della massificazione rappresenterebbero boomerang di cui non s’avverte davvero la necessità.