Per la ripresa economica occorrono interventi strutturali
di ALESSANDRO LIMATOLA
La consueta relazione del Governatore della Banca d’Italia ci induce ad alcune riflessioni, anche alla luce della totale adesione dichiarata dal mondo economico e politico alle conclusioni rassegnate.
E’ ora di agire! Il tempo delle analisi è oramai finito. Sappiamo – tutti – ciò di cui il Paese ed il Sud hanno bisogno per rilanciare l’economia e l’occupazione.
Il momento per interventi strutturali ci sembra ancora più propizio, tenuto conto del positivo clima che si registra tra le forze politiche, in controtendenza rispetto alle nette contrapposizioni del recente passato.
Non solo ma anche le forse sociali – ed il Sindacato in particolare – sembrano aver raggiunto un elevato livello di consapevolezza che è necessario mettere mano a riforme strutturali e di lungo periodo, per il bene del Paese.
A ciò va aggiunta una larghissima – ed in gran parte omogenea – maggioranza parlamentare che permetterebbe di sorreggere adeguatamente l’Esecutivo – appena insediato e con una prospettiva di Governo lunga almeno 5 anni – anche in presenza di riforme, nell’immediato, impopolari.
Il concorso di tutti questi elementi convergenti ed omogenei ci induce ad affermare che sarebbe davvero un crimine non intervenire per impedire che l’Italia prosegua sul piano inclinato in cui si trova da almeno 15 anni.
Dalla puntuale relazione del Governatore, si può, dunque, prendere spunto per almeno due interventi di carattere strutturale, da porre in essere in tempi brevi:
1) La dinamica della spesa pubblica deve rallentare.
Ci sembra un intervento quanto mai opportuno, così come il “suggerimento“ di ridurre dell’1% all’anno sia la spesa pubblica corrente che il carico fiscale su imprese e famiglie.
Un intervento come questo contribuirebbe in maniera non marginale alla ripresa degli investimenti delle prime e dei consumi delle seconde, dato indispensabile per la (ri)attivazione di un circuito economico virtuoso.
2) Per fare ciò – è inutile negarlo – bisogna passare attraverso una riforma incisiva e strutturale della PA e dei sistemi di valutazione dei suoi dirigenti, unica categoria rimasta allo stato priva di responsabilità, superata paradossalmente anche dalla vituperata classe politica.
Nel privato è indispensabile che si mettano in atto politiche in grado di far decollare la produttività, specie al Sud ove le produzioni Labour intensive rappresentano ancora la parte predominante dell’Economia, più esposta alla concorrenza dei Paesi emergenti.
A questo proposito illuminante e, nello stesso tempo, dirompente appare il dato della Banca d’Italia secondo cui il gap di produttività del Lavoro al Sud rispetto al Nord del Paese è del 18%.
Se a ciò si aggiunge il fattore criminalità organizzata, viene facile domandarsi: perché mai le imprese del Nord o estere dovrebbero pensare di portare i loro capitali qui?
Infine, per dare una scossa alla parte meno sviluppata del Paese riteniamo che non si debba considerare più un tabù l’ipotesi della differenziazione salariale che, da un lato, creerebbe più occupazione e, dall’altro, contribuirebbe a ridurre il sommerso e la precarietà, specie dei giovani, nel mondo del lavoro; la stabilità favorirebbe a sua volta il miglioramento della professionalità del mondo del lavoro.
Staremo a vedere.