di ALESSANDRO LIMATOLA
L’anno appena trascorso è stato particolarmente difficile e travagliato in tutti i principali settori della società: politico, economico – finanziario, giudiziario.
Le turbolenze riscontrate sia a livello centrale che comunitario sono la spia del profondo e velocissimo cambiamento sociale in atto, in Italia, da più di dieci 10 anni (in Europa da almeno 7/8), determinato principalmente dalla sempre più rapida circolazione delle informazioni per effetto degli epocali progressi tecnologici conseguiti negli ultimi decenni.
La fine dell’anno è abitualmente il periodo di bilanci e di buoni propositi per il futuro.
Per non sottrarci a questo rituale, riteniamo che, il 2006 debba rappresentare l’anno del rilancio e della crescita culturale ed economica.
Le pre condizioni , a nostro avviso, ci sono.
1) Gli indici dei mercati finanziari anche per il 2005 sono stati ampiamente positivi; a cose fatte si può agevolmente dire che i commentatori economici, a fine 2004, hanno peccato di eccessiva cautela se si considerano i risultati poi conseguiti.
2) Il riavvicinarsi dei bot people ai mercati azionari (ed in particolare al sistema dei fondi di private equity) mostrano, da un lato, una maturità degli italiani impensabile fino a qualche anno fa ed evidenziano, dall’altro, una naturale propensione (che non può non avere come base fondante un solido rapporto di fiducia) verso il sistema della PMI.
3) Da almeno 1 anno sono fermi i valori immobiliari cresciuti in maniera incontrollata nei 5/7 anni precedenti.
4) La riduzione del rapporto di cambio euro/dollaro riduce la perdita di competitività dei nostri prodotti sui mercati internazionali che ha rappresentato negli ultimi anni una vera e propria falla per i conti delle nostre imprese.
5) La sostanziale stabilità dei tassi d’interesse, ritenuta pacifica, per i prossimi 3/5 anni, dai principali operatori finanziari e dai più autorevoli commentatori consente alle imprese d’investire e di indebitarsi senza grandi timori per il futuro.
Ciò che è indispensabile è far ripartire la fiducia di Imprese e Cittadini.
Si tratta di un compito non certo facile, ma da assolvere in maniera assolutamente decisa e pervicace perché senza tale fondamentale componente non potranno ripartire i consumi e, quindi, i fatturati delle aziende, gli investimenti, la crescita occupazionale e, quindi, un circuito economico virtuoso.
Il compito deve essere assolto innanzitutto dalla Politica, a tutti i livelli, partendo proprio dalla crescita di quello spirito di appartenenza all’Unione Europea, notevolmente affievolitosi nel periodo post introduzione euro. L’impatto negativo della nuova moneta sembra quasi assorbito; occorre ora ricostruire sulle macerie partendo proprio dal bilancio comunitario approvato per il prossimo settennato (2007- 2013) e dai criteri per l’utilizzo delle risorse destinate al Mezzogiorno ed alla Campania.
Su questo punto l’esperienza è oramai fatta!
L’evoluzione dei sistemi economici internazionali, la crescita vertiginosa, finora impensabile, di giganti dell’economia coma la Cina e l’India e la conseguente perdita di competitività delle nostre imprese rende indifferibile puntare su tre obiettivi fondamentali: formazione (propedeutica per l’innovazione), infrastrutture, credibilità delle Istituzioni (e buon governo).
Senza investimenti pubblici in questi settori le cause del rallentamento della nostra economia, oramai fortunatamente metabolizzate, non potranno avviarsi a soluzione.
Solo così si potrà rilanciare, a nostro avviso, il Made in Italy, inteso nell’accezione più alta dell’espressione e, nello stesso tempo, combattere i fenomeni di copiatura/contraffazione dei nostri prodotti che, fino a questo punto, sono stati alla base del successo delle economie in via di sviluppo.
Le nostre imprese devono innovare e muoversi più velocemente al duplice fine di prender velocità per allontanare i propri prodotti dall’affiancamento parassitario e sleale (destinato, in assenza di interventi, a diventare sostituzione) di quelli cinesi ed indiani e di ridurre le distanze, anche geografiche, dai centri decisionali, economici e finanziari internazionali: basti pensare che la distanza tra Napoli e Milano è pressocchè uguale a quella tra Milano e Parigi.
Si tratta di diseconomie interne che incidono sulla competitività delle nostre aziende.
Parimenti indispensabile è l’autorevolezza delle Istituzioni che, oltre ad essere, devono apparire imparziali. E ciò partendo dai Governi e dalle più alte ed importanti Autorità Monetarie per finire al più piccolo degli Enti locali.
Riassumendo: gli indici economici e le premesse ci sono, occorre ora realizzare interventi concreti che inducano i Capitali, anche esteri, e le Imprese a credere nel Sistema Italia e, quindi, a tornare ad investire con rinnovata convinzione.