di ALESSANDRO LIMATOLA
La riforma del diritto fallimentare, prossima al traguardo, ci dà lo spunto per alcune riflessioni sul diritto dell’economia.
Dopo una lunga gestazione, sono stati delineati i contorni del provvedimento che dovrebbe essere approvato entro novembre 2005.
Per il sistema delle piccole e medie imprese appare un passo importante verso la modernizzazione delle procedure concorsuali e la definizione di limiti, anche interpretativi, e procedure ben precisi.
Tale riforma fa emergere e rende evidente una delle più annose disfunzioni rappresentata dalla lentezza con la quale il Legislatore regola le materie fondamentali per la vita e la crescita del sistema economico e finanziario.
Il provvedimento approvato sostituirà una legge risalente in gran parte al 1942, periodo nel quale – superfluo dirlo – lo stato dell’economia e dell’impresa era totalmente diverso da quello attuale.
Certo, meglio tardi che mai. Tuttavia disfunzioni di questo tipo creano non pochi problemi allo sviluppo economico e sociale del nostro Paese, rappresentando, per altro verso, un freno più che un supporto alla crescita ed all’occupazione.
Per non parlare del male tutto italiano di prorogare, quasi senza limiti di tempo, l’entrata in vigore delle nuove norme, male talvolta necessario per consentire a tutti i destinatari di adeguarsi. Questa è un’ ulteriore conseguenza negativa del ritardo che accumuliamo nell’ammodernamento normativo.
Il diritto dell’economia è una cosa troppo importante per avere un ruolo di secondo piano nella realtà nazionale ed europea.
Nel nostro Paese viene presentato e considerato dal ceto politico come intervento di complemento per dimostrare ai più l’attenzione di questa o quella forza di governo ai problemi di uno o di determinati comparti produttivi.
Così non è ed il sistema economico americano lo dimostra.
Fissare regole precise certe ed insuscettibili di “effetti fisarmonica” è un valore essenziale per l’economia di un paese e per la creazione della parità di condizioni per gli operatori; un regime sanzionatorio, parimenti certo ed insuscettibile di “ammorbidimenti” o “annacquamenti”, deve essere previsto nei confronti di chi viola le regole anche non uniformando la propria condotta a quella ritenuta indispensabile per l’incarico pubblico ricoperto.
Persino nelle economie in via di sviluppo è impensabile che chi da arbitro si trasforma in giocatore o, cosa ancor più grave, in centravanti di una delle squadre in campo continui impunemente ad essere al suo posto.
Nelle economie più avanzate della nostra, il solo sospetto su una condotta men che regolare da parte di che è titolare di alte cariche istituzionali, determina l’immediato allontanamento (spontaneo o, se necessario, coattivo) dell’interessato.
Solo così si possono creare le pre condizioni per dar fiducia a chi, anche dall’estero, vuole investire nei nostri territori.
Lo stereotipo dell’Italia in cui tutto è permesso e tutto si sistema in un modo o nell’altro (a che non è miope) appare ampiamente superato ed è una delle concause che hanno determinato la perdita di competitività dell’Italia e del Sud in particolare nell’attrarre investimenti.
L’economia di mercato si basa sul diritto senza il quale non v’è certezza e senza certezza i capitali interni ed esteri non si muovono.
L’attuale assetto politico sconta un limite di fondo quello di trascurare la funzione sociale dell’impresa che è un importantissimo attore della nostra realtà, prima che protagonista del sistema economico e finanziario.
L’impegno che richiedono le imprese sia a livello centrale che periferico è proprio questo creare strutture e condizioni per aggiornare le Regole con una velocità molto più elevata di quella media finora registrata.
Sembra banale ma il monitoraggio del sistema normativo e la sua continua modernizzazione è uno degli obiettivi più facilmente conseguibili sia a livello centrale che periferico; nella quasi totalità dei casi gli interventi sono a costo zero mentre negli altri casi gli interventi consentono alle P.A. semplificazioni e razionalizzazioni delle procedure con gli intuibili risparmi di spesa.
Peraltro, gli interventi sono di immediato impatto mediatico perché interessano tutto il mondo del lavoro e, quindi, la gran parte della popolazione attiva, quella che fa opinione.
Perché non partire proprio dalla Campania?.