Con la circolare 7876 / bis l’INAIL richiama alcuni fondamentali principi di natura sostanziale al fine di garantire una uniforme applicazione ed una omogenea trattazione della materia
di DOMENICO BERRITTO*
Le patologie denunciate all’Istituto come malattie professionali che consentano una attribuzione con criteri di assoluta certezza scientifica costituiscono ormai una limitata casistica; attualmente prevalgono, infatti, malattie croniche degenerative e malattie neoplastiche e, in generale, a genesi multifattoriale riconducibili a fattori ai quali si può essere esposti anche al di fuori dell’ambiente di lavoro.
Il lungo periodo di latenza di alcune di queste malattie, inoltre, rende molto difficoltosa, quando non impossibile, la puntuale ricostruzione delle condizioni esistenti nell’ambiente lavorativo nel momento in cui si sarebbe verificata l’esposizione al rischio. Il rapido mutamento delle tecnologie produttive ha, infatti, indotto le imprese nella maggior parte dei casi ad adeguare i macchinari, le attrezzature, i cicli produttivi e l’organizzazione aziendale.
Il radicale mutamento dei caratteri delle malattie professionali ha indotto la giurisprudenza ad indicare principi interpretativi ed applicativi delle norme che regolano la materia sia in tema di esposizione a rischio che di nesso di causalità più adeguati alla nuova realtà.
In particolare per quanto riguarda l’esposizione al rischio la presenza nell’ambiente lavorativo di fattori di nocività, quando non sia possibile riscontrare con certezza le condizioni lavorative esistenti all’epoca dell’esposizione a rischio, può essere desunta dalla tipologia delle lavorazioni svolte, dalla natura dei macchinari presenti nonché dalla durata della prestazione lavorativa.
La Direzione Centrale dell’INAIL, inoltre, indica la possibilità di avvalersi dei dati di indagini mirate di igiene industriale, dei dati della letteratura scientifica, delle informazioni tecniche ricavabili da situazioni di lavoro analoghe, nonché di “ogni altra documentazione e conoscenza utile a formare un giudizio fondato su criteri di ragionevole verosimiglianza, valutando l’efficienza causale degli agenti patogeni, non in astratto ma in concreto, cioè in riferimento alle condizioni fisiche del singolo lavoratore”. Ne consegue che la valutazione finale dell’esposizione a rischio è rimessa alla funzione medico-legale poiché richiede un giudizio di sintesi che tenga conto non solo dell’entità dei fattori di nocività presenti nell’ambiente di lavoro, ma anche della variabilità della sensibilità dello specifico soggetto esposto.
Una volta accertata come sopra descritto la nocività dei fattori di rischio lavorativi presenti, si dovrà passare alla valutazione del nesso di causalità tra detti fattori di rischio e la patologia denunciata.
L’impossibilità di raggiungere con assoluta certezza scientifica la sussistenza del suddetto nesso causale non costituisce, peraltro, motivo sufficiente per escludere il riconoscimento della eziologia professionale. Giurisprudenza consolidata e concorde della Corte di Cassazione, infatti, ritiene sufficiente la ragionevole certezza della genesi professionale della malattia basata anche su dati epidemiologici e della letteratura scientifica. Sulla base di questi presupposti, una volta accertati, va riconosciuta la natura professionale della malattia “anche quando abbiano concorso a causarla fattori di rischio extra-lavorativi” .
Sul piano operativo da quanto sopra consegue che:
nel caso in cui risulti accertato che gli agenti patogeni lavorativi siano adottati di idonea efficacia causale rispetto alla malattia diagnostica, quest’ultima dovrà essere considerata di origine professionale pur se accertata la concorrenza di agenti patogeni extralavorativi.
nel caso in cui gli agenti patogeni lavorativi, non dotati di autonoma efficacia causale sufficiente a causare la malattia, concorrono con altri fattori extralavorativi, anch’essi non dotati da soli di efficacia causale adeguata, ed operando insieme costituiscono causa idonea della patologia diagnosticata, quest’ultima è da ritenersi di origine professionale.
nel caso in cui gli agenti patogeni lavorativi, non dotati di sufficiente efficacia causale, concorrano con fattori extralavorativi dotati, invece, di tale efficacia, è esclusa l’origine professionale della malattia.
I contenuti e le modalità operative indicate nella nota dell’Istituto, forniscono un contributo fattivo alla risoluzione di numerose controversie, in corso e probabilmente future, che finora si sono tradotte spesso in un mancato riconoscimento di malattie la cui origine professionale è certa o altamente probabile, ma che a causa della impossibilità di risalire a distanza di molti anni alle effettive condizioni di esposizione spesso non venivano riconosciute.
*consulente Claai per la sicurezza aziendale
Per maggiori chiarimenti in merito agli obblighi previsti dal D.Lgs. 626/94 Domenico Berritto riceve c/o la sede CLAAI di Napoli, il martedì ed il venerdì dalle 16.00 alle 19.00 previo appuntamento.