Veniamo nuovamente ad affrontare il delicato tema del pagamento degli interessi e delle norme in materia di usura.
Come in passato avevamo avuto modo di evidenziare, risultava necessario mettersi in guardia dai facili entusiasmi, perché prima e poi il Governo avrebbe provveduto a risolvere la questione.
Già dalla prima apparizione delle decisioni giurisprudenziali, rese a seguito della pubblicazione del primo decreto ministeriale con cui venivano fissati i valori di riferimento per la determinazione della soglia di usura, così completando il sistema delineato dalla legge numero 108/96, si è avvertito il pericolo che i meccanismi innescati per combattere la piaga dell’usura avrebbero influito, ostacolandolo, sull’intero sistema creditizio, con il rischio di una paralisi delle attività relative.
Fatto sta che dopo un triplice pronunciamento della Corte di cassazione in materia di usurarietà sopravvenuta, che – per intenderci – aveva spalancato le porte alle valanghe di richieste di restituzione degli interessi corrisposti per mutui con una decorrenza a ritroso di dieci anni, intervenne il Governo che con l’emanazione di un decreto di legge, stabili una disciplina ad hoc che – in sostanza – non consentiva la richiesta di rimborso retroattiva anche se si trattava di interessi pagati ad un tasso superiore a quello considerato usurario.
La norma, poi, scatenò un’iniziale altalena di sentenze provenienti anche dai giudici di merito le quali avevano consentito la individuazione del superamento della soglia usuraria, non già al momento della stipulazione originaria del contratto di mutuo, ma al momento in cui ogni singola datio (ovvero ogni singolo pagamento) veniva effettuato.
Ciò non solo soddisfaceva il rispetto del divieto di retroattività ma autorizzava la rivisitazione anche dei rapporti già avviati, non ancora eseguiti, alla luce delle sopravvenienze.
La illustrata attività giurisprudenziale ha subito un brusco e – per ora definitivo – arresto con l’intervento del sopra descritto sistema normativo venutosi a creare.
Tale sistema normativo, poi, introduceva un trattamento particolare riservato soltanto a quanti avessero stipulato un contratto di mutuo a tasso fisso prima del 2 gennaio 2001.
Per le rate che sarebbero scadute a partire da tale data veniva prevista l’applicazione di un tasso di sostituzione, a meno che il tasso fisso non fosse risultato comunque inferiore a quello usurario.
Peraltro, il tasso di sostituzione non era uguale per tutti i mutuatari, ma variava a seconda che si trattasse di persona che agiva per scopi professionali o meno.
Già dopo la sua approvazione l’intervento legislativo fu dichiarato insufficiente a risolvere definitivamente la questione, anche perché era evidente la sua portata settoriale, ovvero era indirizzato ad alcuni soltanto dei soggetti obbligati al mutuo e non ad altri.
Senza tenere conto che i mutuatari a tasso fisso che avessero rilevato una forte flessione dei tassi di interesse rispetto a quelli pattuiti al momento della sottoscrizione del contratto di mutuo, non avrebbero necessitato dell’intervento legislativo per beneficiare della riduzione dei tassi, ma avrebbero potuto estinguere il vecchio mutuo e contrarne uno nuovo a tassi più bassi.
A questo punto, in attesa che il sistema normativo si stabilizzi definitivamente su una materia così particolarmente sentita e che investe una larga fascia di categorie di soggetti, non ci resta che attendere, sperando magari in altri scossoni giurisprudenziali oppure in un provvidenziale intervento della Corte costituzionale che – come si sa – quando pronuncia l’illegittimità delle norme determina il cosiddetto vuoto legislativo, e, conseguentemente, l’obbligo del Parlamento a legiferare.
Egidio Paolucci
Responsabile ufficio legale Claai
dal Notiziario CLAAI – Gennaio 2002