di EGIDIO PAOLUCCI
Anche uno degli ultimi tasselli limitativi della libera contrattazione del canone di locazione contenuti nella legge n. 392/78 (c.d. equo canone), risulta essere stato demolito prima dalla legge e poi dalla giurisprudenza.
Ci riferiamo alla possibilità di pattuire un canone, per le locazioni c.d. ad uso diverso, che aumenti automaticamente nel corso del rapporto locativo, in misura maggiore all’indice Istat.
Sin’ora la possibilità era stata esclusa dalla rigida interpretazione dell’art. 79 della citata legge che penalizza con la nullità i patti diretti ad attribuire al locatore un canone o vantaggi maggiori rispetto a quelli stabiliti dalla stessa legge.
Anche la giurisprudenza (Cass., sez. III, 09.07.92, n. 8377; Cass., sez. III, 11.08.87, n. 6896) aveva considerato nulle le clausole dei contratti di locazione riguardanti immobili non abitativi che stabilivano un aumento superiore al 75% dell’indice ISTAT, rilevandone la contrarietà alla legge.
Tale interpretazione si basava sul fatto che una clausola avente ad oggetto una preordinata maggiorazione annuale del canone frustrerebbe la logica dei rigidi limiti posti all’aggiornamento posta dalla legge.
Ma con le novità introdotte dal decreto milleproroghe (Dl 207/08 convertito in legge n. 14/09) pare che tale divieto sia venuto meno per i rapporti locativi che non superino la durata stabilita nell’art. 27 della legge c.d. equo canone.
La giurisprudenza, poi, è andata oltre ed infatti con una recente decisione della Suprema Corte dello scorso febbraio, è stato stabilito che risulta legittima la clausola del contratto di locazione di un immobile ad uso non abitativo in cui venga pattuito un incremento del canone nell’arco del rapporto anche superiore alla svalutazione monetaria.
La sentenza richiamata, quindi, aderisce al più recente filone interpretativo che sancisce la piena validità di tali clausole ove non dirette a neutralizzare esclusivamente gli effetti della svalutazione (Cass., sez. III, 23.02.07, n. 4210; Cass., sez. III, 21.07.03, n. 11320).
La Cassazione evidenzia che, se le parti sono libere di fissare un canone di qualsivoglia importo, deve ritenersi altresì possibile che nel contratto prevedano modifiche – anche in aumento – del canone medesimo nel corso del rapporto.
Rientra, quindi, nella libera determinazione delle parti non solo fissare un determinato canone locativo ma anche prevederne un automatico aggiornamento, oltre i limiti dell’indice Istat.
La giurisprudenza, in altre parole, evidenzia come l’unico divieto ricavabile dalla disciplina legislativa riguarda la previsione di aumenti non predeterminati nel contratto e destinati ad avere una entità non prevedibile al momento della stipulazione di detto negozio giuridico.
Il legislatore ha, quindi, limitato l’autonomia contrattuale solo con riferimento all’aggiornamento del canone in relazione alle variazioni del potere di acquisto della moneta, di conseguenza non sono giustificate le tesi interpretative volte ad affermare la sussistenza di ulteriori limiti a meno che non si evidenzi la natura fraudolenta della clausola (Cass., sez. III, 01.02.00, n. 1070).