di ALESSANDRO LIMATOLA
Nell’immediato futuro occorrerà diffondere presso le imprese il contenuto dell’accordo e realizzare interventi correttivi e d’accompagnamento in grado di migliorare le condizioni di operatività delle imprese
Sabato scorso è stato sottoscritto, dopo una gestazione durata oltre 5 anni, l’accordo denominato Basilea 2 che fissa le nuove regole per i capitali delle banche.
La sua applicazione è fissata per il 2006 anche se, dopo tale data, verrà concesso un altro anno alle banche ed ai supervisori nazionali per gli approcci più avanzati sulla misurazione del rischio.
La gran parte dei commentatori si è finora concentrata nel valutare le implicazioni economico-finanziarie che tale innovazione produrrà nei singoli Paesi.
Noi riteniamo che pur essendo interessanti ed utili le opinioni e le valutazioni degli analisti economici, dovrà attivarsi, a strettissimo giro, un’intensa attività d’informazione presso le imprese sulle modifiche che il nuovo complesso normativo avrà nei rapporti con il sistema bancario.
Non pensiamo di fare uno scoop affermando che la stragrande maggioranza delle imprese piccole e medie non si sono appassionate al dibattito – rimasto essenzialmente circoscritto agli addetti ai lavori – sulle varie formulazioni presentate e discusse dalle autorità monetarie dei G–10.
Non tutti gli imprenditori, ad esempio, sanno che l’accordo serve per fissare i requisiti patrimoniali delle banche le quali andranno valutate in relazione ai rischi che per ciascuna operazione e, quindi, complessivamente decidono di assumere.
C’è, quindi, un sensibile deficit d’informazione che va rapidamente colmato, anche per dar modo agli imprenditori di adeguare le proprie attività e soprattutto i propri bilanci al mutato complesso normativo.
L’obiettivo perseguito con la sottoscrizione dell’accordo è quello di aumentare la stabilità, sul piano internazionale, delle banche le quali, in estrema sintesi e senza alcuna pretesa di esaustività, dovranno:
I) adeguare i propri requisiti patrimoniali alla percentuale di rischio dei singoli finanziamenti che andranno ad accordare alla clientela.
Per ogni operazione creditizia in senso lato, dovranno determinare tre ordini di rischi: di credito, di mercato ed operativi.
Una volta determinato il coefficiente di rischio le banche dovranno coprirlo con il proprio patrimonio in rapporto all’importo da finanziare.
II) realizzare obiettivi di capitalizzazione corrispondenti al proprio profilo di rischio e di capacità di controllo.
III) fornire, attraverso i propri bilanci, alle autorità ed ai mercati le informazioni più rilevanti.
I soggetti più svantaggiati da tale innovazione saranno sicuramente le medie imprese perché, dalle simulazioni finora sviluppate, i prestiti alle grandi aziende richiederanno un’allocazione di capitali inferiore a quella attuale mentre gli impieghi presso le piccole e piccolissime imprese sono stati equiparati a quelli verso la clientela privata (“al dettaglio”).
Per evitare che si chiuda il rubinetto del credito alle medie imprese è, quindi, necessario mettere in campo altri strumenti finanziari favorendo, ad esempio, anche attraverso la leva fiscale, strumenti, per noi innovativi, come quello del venture capital già sperimentato positivamente nelle economie anglosassoni.
Il mondo delle associazioni di categoria devono trasversalmente svolgere un gran lavoro anche perché le autorità nazionali hanno ancora dei margini d’autonomia nello stabilire i dettagli di applicazione della normativa nei rispettivi ordinamenti.
Infine, nel nostro Paese, il recepimento della nuova normativa potrebbe essere l’occasione per: a) potenziare il sistema dei confidi, rivelatosi strumento essenziale ed insostituibile per la crescita delle imprese; b) eliminare dai bilanci delle imprese taluni freni che non sono il risultato della loro attività ma provocati dall’inerzia e/o dalle lentezze di terzi, prima fra tutti la P.A.; c) velocizzare, rendere più efficaci e meno costose le procedure espropriative mobiliari ed immobiliari, al fine di ridurre le perdite sui crediti incagliati; d) realizzare la tanto attesa riforma del diritto fallimentare concepita secondo i risultati, le esigenze e soprattutto i tempi dell’economia italiana degli anni 30/40.